"Dark Shadows", tra melò, gotico e Humour Tim Burton non rinnega la sua ombra più oscura

La recensione del film

26 Maggio 2012   11:36  

Regia: Tim Burton
Cast: Johnny Depp, Michelle Pfeiffer, Helena Bonham Carter, Eva Green, Chloe Moretz
Genere: Drammatico
Durata: 140 minuti
Voto: OOO 1/2

Giovane rampollo, figlio di ricchi imprenditori inglesi trasferitisi sulle coste del Maine per dedicarsi al commercio del pesce, Barnabas Collins è innamorato della graziosa Josette. La loro relazione non è però gradita ad Angelique, giovane domestica e strega, invaghita del signorotto, la quale, per vendicarsi dell’amore non ricambiato, uccide prima i genitori di lui, poi l’amante, infine, dopo averlo trasformato in vampiro con un maleficio, lo seppellisce vivo. Due secoli dopo (nel ’72) la creatura può finalmente risorgere, ma oltre ad affrontare la degenerazione economica della propria famiglia e quella morale della nuova era, dovrà fare i conti con Angie (la stessa Angelique), intraprendente e affascinante fattucchiera in carriera, e con il sentimento che lo legherà all’istruttrice Victoria, dal passato misterioso. 


Alla base c’è una soap opera di successo, trasmessa in USA dal ’66 al ’71 dalla ABC che non poco deve aver contribuito, nell’alternanza di toni lievi e gravi, di dramma e humour, di brivido e sentimento, alla maturazione di quella sensibilità artistica prima, autoriale poi, che ha reso Burton tra i registi più apprezzati di sempre (ma fan della serie si sono detti anche Tarantino, Madonna e lo stesso Depp).


Perché, checché se ne dica (e a parlare sono per lo più falsi accoliti del suo cinema) in “Dark Shadows” c’è tutto Burton: il gotico quasi miniaturistico e le suggestioni dark non poco indebitate col cinema muto di genere (qui sono più che palesi i riferimenti al “Nosferatu” di Murnau, quanto a quello di Herzog), maschere inquietanti e fuori da qualsiasi probabilità che implodono, in modo paradossalmente anche anti-romantico, in psicologie distorte, stralunate, disturbanti, permeate da una malinconia nichilista che rifugge dalla luce per accomodarsi nell’ombra, che riconoscono la propria miseria facendo apparire la catarsi torbida, auto-annientante, letale.


Ma c’è anche il cromatismo esasperato, il pop ipersaturo, il kitsch umoristico di “Beetlejuice”, “Mars Attacks!” e “La Fabbrica di Cioccolato”. L’auto-commiserazione include, stavolta più che nel protagonista Barnabas (altro freak a cui Depp si presta con divertimento), creatura della notte che non evolve ma che si manifesta nella staticità del profilo, nell’aggraziata sagoma di Victoria, l’epifanica consapevolezza della natura cosmopolita e purgante dell’individuo, la cui missione (che prevede, se non l’affermazione come in “Alice in Wonderland”, almeno la propria rivelazione) finisce con l’annientamento del corpo mortale e l’utopica trasfigurazione sublimante in un “altro” somatico, oltre la morte ma nelle tenebre.

 Non è un caso che ci si soffermi spesso sulla carne, in senso lato con le ripetute allusioni sessuali, esasperate nella simpatica sequenza sensuale che coinvolge Barnabas e Angie, sia nel dettaglio anatomico/cutaneo che si frantuma come porcellana, mentre il muscolo cardiaco si sgretola in polvere. Poesia della immagini. Se ne potrebbe parlare anche come un horror di donne e sulle donne (Bonham Carter e Green le più brave, poco sfruttata la giovane e promettente Moretz) e la Victoria della Heathcote potrebbe spacciarsi come diversa interpretazione (o evoluzione?) dell’eroina di Carroll.


Certo l’opera non è esente da difetti: le si può rimproverare una qualche aridità di suggestione (un paio di flashback sul finale che esplicassero concetti e stile non avrebbero guastato) e a tratti una scarsa gestione dei tempi cinematografici, ma nel complesso è godibile, la confezione pregiata (Bruno Delbonnel alla fotografia è sempre una garanzia, i costumi della solita Colleen Atwood azzeccati), ben recitata. Ed Eva Green, vamp dalle labbra scarlatte, è mostruosamente bella.


Riccardo Balzano

 

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