Diritto all'oblio, la brava gente non ne ha bisogno, ma Google si adegua

Fino a 20 richieste al minuto di rimozione

03 Giugno 2014   10:11  

L'Europa si allontana dal resto del mondo per quanto riguarda la storia dei propri cittadini su internet.

Il 13 maggio è stata letta la sentenza definita da tutti "diritto all'oblio" che decreta il diritto dei 500 milioni di cittadini europei di scomparire dai motori di ricerca anche solo per alcune chiavi di ricerca specifiche.

Essendo il 90% del traffico totale di quasi tutti i siti online derivante dai motori di ricerca ed in Europa da Google la decisione di quest'ultima di attivare un apposito modulo di "richiesta di rimozione" pare andare incontro all'accettazione della sentenza della Corte di Giustizia Ue che ridà fiducia ai difensori della privacy che vorrebbero proteggere i cittadini dall'invadenza di Internet, e preoccupa l'industria del web.

Il tutto è nato da un avvocato spagnolo, Mario Costeja, che nel 2009 si rese conto che cercando sul motore di ricerca il suo nome veniva fuori una nota legale del 1998 pubblicata sul sito del quotidiano La Vanguardia che elencava i suoi debiti dell'epoca. Quando La Vanguardia si rifiutò di rimuovere le informazioni, e Google si rifiutò di far sparire i link, Costeja si rivolse all'Agenzia spagnola di protezione dati che impose a Google di cancellare il link e non disse nulla al quotidiano. Google fece ricorso, e nonostante l'anno scorso l'avvocato generale della Corte avesse dato ragione all'azienda di Mountain View, ora la Corte ha ribaltato quel parere (che non è mai vincolante). Secondo la giustizia Ue, Google deve dare ai suoi utenti il diritto di cancellare i link a dati che li riguardano, compresi quelli a documenti ufficiali.

La decisione ha colto di sorpresa il colosso della ricerca web: "Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall'opinione espressa dall'avvocato generale Ue e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni", ha detto un portavoce. La sentenza apre infatti uno scenario inedito: oltre 500 milioni di cittadini dei 28 Paesi europei avranno il diritto di chiedere a Google la rimozione di link anche se sono contenuti legali e restano online sul sito che li ha pubblicati, attribuendo di fatto ai motori di ricerca il ruolo di decidere quale diritto deve prevalere tra diritto alla privacy, alla libertà di espressione o l'interesse pubblico di accedere all'informazione.

Di vittoria parla invece chi, come la commissaria alla Giustizia Viviane Reding, in Europa si batte per regole sulla privacy più stringenti, che mettano un freno ai comportamenti ritenuti 'spregiudicati' di Google e Facebook. Secondo la Reding la sentenza "vendica" gli sforzi finora andati a vuoto per riformare le regole della protezione dati: "Le società ora non potranno più nascondersi dietro i loro server in California o altrove", ha scritto sul suo account Facebook. La sentenza si basa sulla legge sulla protezione dati del 1995, e ha stabilito che compagnie come Google dovrebbero consentire ai loro utenti di essere 'dimenticati' cancellando i link alle pagine web che contengono i loro dati "a meno che non vi siano ragioni particolari, come il ruolo pubblico del soggetto".

Sono passati 20 giorni dalla sentenza del 13 maggio e la secondo Reuters, nella sola giornata di venerdì Google ha ricevuto oltre 12.000 richieste di rimozione dai vari Paesi europei, con un picco di 20 richieste al minuto verso le ultime ore del giorno.

Il "diritto all'oblio" per Google consiste ad eliminare dai risultati delle richieste di ricerca quelli che contengono il nome dell'utente e che puntano a contenuti che il richiedente ritiene “inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati”.

Una procedura complicata per l'utente che si sottopone al giudizio di Google sulla "rilevanza" dei risultati, sulla loro "inadeguatezza" o sul fatto che siano "non più rilevanti" in relazione a fatti che li hanno sorpassati (possiamo parlare di inquisiti che poi sono stati dichiarati innocenti).

Nel caso specifico nessun contenuto sarà rimosso, infatti i motori di ricerca, compreso Google, possono solo rendere molto difficoltoso rintracciare le informazioni, ma le stesse resteranno disponibili nei siti di provenienza.

Così la volontà della Corte UE è chiara e non dissimile dal trattamento degli archivi dei giornali cartacei, non è il contenuto ad essere inadeguato, ma il fatto che sia troppo facilmente rintracciabile da chiunque.

Dopo questo primo distunguo ne va fatto un secondo, la sentenza si riferisce alle persone fisiche, non alle aziende che non possono chiedere nulla

Inoltre va analizzato un altro fatto e cioè l'opportunità di una simile richiesta che non potrà essere specifica al dato fatto, ma prevede il taglio netto di ogni ricerca su quel nome, si verrà, quindi, tagliati completamente dalla rete.

Non è chiaro anche il ruolo che avranno i motori di ricerca con sede legale fuori dalla UE, compreso Google.com, che potrebbero lasciare ogni ricerca online ignorando la sentenza e creando un pericolosissimo "buco d'informazioni" nei motori in lingua europea.

Un ultimo punto, invece, la Corte UE non lo chiarisce affatto e deriva dai casi di omonimia come nell'ultima vicenda della showgirl argentina Belen Rodriguez (un'omonima della "nostra italiana") che avrebbe fatto causa a Google perchè digitando il suo nome venivano fuori risultati di un'altra Belen Rodriguez di professione pornostar.

Insomma seppure il "diritto all'oblio" pare essere stato sancito restano ancora numerosi problemi di applicabilità e di opportunità ad intraprendere questa strada.

Infine un cosiglio alle decine di persone che ci stanno contattando direttamente per essere rimossi dal motore di ricerca, noi non possiamo farlo, ma come detto, va fatta richiesta a Google.it


Oroscopo del Giorno powered by oroscopoore